In un piccolo paesino nel cuore della Francia, vive la famiglia Bélier. Allevano mucche e vendono al mercato il formaggio prodotto.
La primogenita Paula (Louane Emera), l'unica in famiglia in grado di sentire e parlare, sembra essere indispensabile ai suoi cari per interagire con gli altri. Lei traduce ogni conversazione in gesti o parole a seconda dei casi.
Già super impegnata tra l'azienda di famiglia e la scuola, Paula decide di partecipare al coro scolastico con la speranza di conoscere meglio un ragazzo che le piace.
Il maestro di canto noterà subito la sua voce: la ragazza ha tutte le carte in regola per fare la cantante! Ma non può riuscirci restando nel paesino, deve andare a Parigi.
Come faranno i suoi senza di lei? Sensi di colpa, dubbi, paure...
Ma soprattutto, come dimostrare loro che ha davvero talento se non possono sentirla?
L'idea di base è originale. Le sensazioni di Paula, in bilico tra la famiglia d'origine e i suoi sogni, sogni che poi, stranamente, si ha sempre un po' timore di realizzare, sono sensazioni universali che abbiamo provato un po' tutti, fanno parte della crescita.
Non c'è buonismo, pietismo. Nessuno dei personaggi è senza macchia, sono molto onesti e reali.
Credo che il film sia piaciuto al pubblico per tutto questo e perché la storia sembra essere assolutamente vera.
Io mi sono commossa sul finale. E non sono stata la sola!
Ieri, per caso, ho visto un'intervista a Luciana Littizzetto, una che non ha certo la lacrima facile, ebbene anche lei ha ammesso di essersi emozionata con "La famiglia Bélier".
04 maggio 2015
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